E sì che leggo tanto, eh. Ma tanto, tanto. Eppure una genialata simile non l’avevo mai letta: “spacciatore di zuccheri”.
L’ha estratta dal suo cappello magico Stephen King, nell’unico romanzo in cui non c’è alcun riferimento al paranormale.
In effetti, per dirla tutta, “Mr Mercedes” non riesce ad andare molto oltre la normalità, dal punto di vista letterario. Un thriller di buona fattura, per carità, con i suoi bei colpi di scena, ma senza la pienezza di opere quali “L’ombra dello scorpione” oppure “It”.
Sì, lo so, lo so, lo so bene, lo so: non stiamo parlando di Fëdor Dostoevskij o Leone Tolstoj, che ve l’ho detto fin dall’inizio che leggo tanto, ma proprio tanto… Ciò non toglie che questa piccola perla abbia il suo fantastico valore in sé e per sé e non per il livello intellettuale del suo ideatore. Che se stiamo a guardare, sempre dallo stesso re del brivido, arriva anche un’altra perla, non tanto di saggezza quanto di sagacia, in riferimento al soprannome di un personaggio secondario (ma anche terziario o quaternario) di un romanzo già più interessante per fattura e principio, quel “22/11/63” dedicato al tentativo di sventare l’omicidio di Dallas. Ebbene, da qualche parte nel libro, salta fuori questo negoziante che tutti chiamano “Silent Mike”, nome che il protagonista spera possa legarsi alle capacità del personaggio di tenere chiuso il becco. In realtà è lo stesso “Silent Mike” a rivelare di chiamarsi così perché “Quand’ero piccolo, pensavo che la canzone di Natale parlasse di me. Il soprannome non mi ha più mollato”.
Silent Night.
Silent Mike, Holy Mike.
A volte il mondo in cui viviamo è proprio strano.
Come ben strano è un mondo in cui esistono figure come questa la cui clientela consiste di ragazzini usciti da scuola, gli zaini in spalla e le mani a sventolare banconote accartocciate. “Alcuni lo ringraziano, ma altri manco ci pensano. A Brady non dispiace. Non vuole essere fissato negli occhi o ricordato. Per quei mocciosi è solo uno spacciatore di zucchero in divisa bianca, e gli va bene così.”
Qual è la figura retorica che si adatta meglio a questa dello spacciatore di zuccheri: l’iperbole o il paradosso? Secondo me, non ci sono dubbi, trattasi del paradosso della società moderna che non è più in grado di cogliere la pericolosità di droghe quali zucchero e dolci in genere. E se fate mente locale e pensate a quanto diano dipendenza certi prodotti dolciari converrete con me che non vi siano dubbi: siamo circondati da talmente tanti “spacciatori di zuccheri” che ormai li diamo per acquisiti. In realtà di acquisito ci sono soprattutto i chili che abbiamo messo su e ci tocca metterci a dieta per potere eliminare.
PS Essì, la guest star dell’immagine in evidenza del post è proprio Pennywise, l’orripilante clown di “It”, tratto da una foto di Javier Moreno, a cui vanno tutti i diritti dell’immagine, e sovrapposto ai tratti più rassicuranti di un anonimo non meno pericoloso “spacciatore di zucchero”