Il Manuale di sopravvivenza per dimagranti ® – Questione di feeling (il cibo – parte seconda)

“Ah, che bellu cafè, pure ‘n carcere ‘o sanno fà
co’ ‘a recetta ch’a Cicirinella, compagno di cella, ci ha dato mammà
.”

Don Raffaè (Fabrizio De Andrè)

Ovvero del fatto che, gira e rigira, è difficile non essere attratti dal bello e dal buono.

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Si, ok il progresso, ok il consumismo e ok anche il cibo ipercalorico, ma un po’ di riflettori puntati su di noi no? Intendo dire: va bene che il progresso e via dicendo sono cose che abbiamo creato noi e non sono piovute per conto loro dal cielo, ma per noi singolarmente nulla: neppure una menzioncina d’onore o una citazione nei titoli di coda?

Ma certo che sì, ci mancherebbe altro! Del resto, siamo o non siamo gli esseri viventi il cui cervello, in rapporto al peso complessivo, non solo è al vertice della categoria, ma addirittura doppia e poi tripla rispettivamente il secondo ed il terzo in classifica (per la cronaca il delfino e lo scimpanzé)!

Pertanto rigettiamo il ruolo di semplice comparsa e rivendichiamo il ruolo che ci compete, ovvero quello di protagonisti nel rapporto tra noi e il cibo e accettiamo questo semplice assioma: se il nostro meraviglioso corpicino è composto per il 70% da ogni genere di bevanda di cui son pieni i supermercati; se l’acquolina in bocca davanti alla pubblicità dei salamini facciamo fatica a trattenerla; se i nostri sensi pizzicano come quelli dell’uomo ragno quando vediamo podisti estasiati in nuvole di endorfine alle sette del mattino… i padroni della nostra vita siamo noi, solo noi, sempre noi, proprio noi, nient’altro che noi e non possiamo pertanto esimerci dalla nostra (colpa? colpa mi sembra completamente fuori luogo; difficoltà? difficoltà mi pare un po’ esagerato) umanità… direi che il termine giusto sia umanità.

Diciamocelo subito, stiamo tutti nella stessa barca, per cui nessun imbarazzo: io vado matto per il tiramisù e non disdegno minimamente piatti belli grassi tipo le lasagne… Siamo fatti così: le cose buone, così come le cose belle, non ci lasciano indifferenti, anche se con un distinguo: mentre certe cose belle sono spesso irraggiungibili o quantomeno lontane, quelle buone sono in modo imbarazzante a portata di mano. Così, mentre si può star tranquillamente seduti in poltrona a guardare spiagge dorate senza sentire l’irresistibile pulsione a prenotare il primo volo aereo per i tropici, altrettanto non si riesce a fare davanti al richiamo della gola, in qualunque modo esso si configuri.

E non è solo la gola a spingerci verso il frigorifero (lui sì, che è il miglior amico dell’uomo, altro che il cane), perché il cibo, lo sappiamo tutti, non è solo “ogni sostanza che sia in grado di fornire energia, materiale per i tessuti o catalizzatore chimico a qualsiasi organismo vivente” [sempre Wikipedia, gran bell’aiuto per uno pigro come il sottoscritto]; il cibo è arte, comunicazione, creazione, astrazione, concretizzazione, compagnia, fantasia… mamma mia: il cibo è la prima cosa con cui abbiamo avuto a che fare a pochi minuti dalla nascita e che ci ha consolati del fatto di essere stati catapultati dal posticino più bello del mondo a un postaccio freddo, pieno di rumori, odoracci e luci accecanti. Certo: poi abbiamo avuto modo di cambiare idea, però al momento non dev’essere stata una passeggiata e, forse, sarà stato anche per questo che l’abbiamo completamente rimossa dai nostri ricordi.

Non a caso ho scelto questi due elementi (ricordi e rimozioni) per agganciarci immediatamente a quel geniaccio di Sigmund Freud, che costruì su di loro parte delle sue innovative teorie. Freud diede al cibo un’importanza vitale per il corretto sviluppo del bambino, indicando come “fase orale” il periodo che va dalla nascita al primo o al secondo anno di vita (a seconda delle culture) in cui il bambino, in base al grado di soddisfazione o frustrazione del proprio rapporto con la madre attraverso l’allattamento, svilupperebbe alcuni tratti caratteriali piuttosto che altri.

Inizia pertanto fin dagli esordi della nostra avventura terrena la sperimentazione che esistono cose che, oltre ad essere quello che sono, sono anche altro. Si tratta di tutto ciò che, per svariati motivi, possiede o riceve un investitura, a volte conferita consciamente e a volte inconsciamente, che va ben oltre il suo valore intrinseco.

Come sempre un esempio può venire in nostro aiuto. Quando si è giovani, forti ed immortali, si è convinti che tutto ciò che indossiamo (dal calzino all’automobile) sia una sorta di “abbellitore” indispensabile per farci apprezzare dal resto degli abitanti del pianeta. Ne è conferma quanto segue: chi di noi non si è stupito per il fatto che le (gli) esponenti dell’altro sesso non cadessero ai nostri piedi dopo avere indossato quel profumo, quella maglietta, quel piumino, quella scarpettina col tacco 12, quella Ferrari? Credo che tutti, chi più chi meno, (e io ammetto con un po’ di vergogna di essere appartenuto al gruppo dei “chi più) abbiamo sperato nel valore amplificatore di ciò che acquistavamo nella speranza di un effetto supplementare.

Altri effetti “supplementari” non in scheda tecnica ufficiale? Chi ha fatto qualche esame all’università è possibile che lo conosca. Parlo del talismano accademico, il maglione, la camicia, il percorso, l’orario di risveglio, il rituale della sera precedente… indispensabili per potere affrontare con speranza di successo qualsiasi prova: scoprire la mattina di un esame che il numero di biscotti nella biscottiera non era sufficiente per soddisfare la cabala poteva determinare crisi isteriche paralizzanti.

Ora: con il cibo è più o meno la stessa cosa, solo che in questo caso è più difficile accorgersene, al punto che nessuno resta meravigliato di fronte al fatto che “sostanze in grado di fornire energia, materiale per i tessuti o catalizzatore chimico a qualsiasi organismo vivente” assumano significati e funzioni così diverse dalle loro qualità intrinseche. E pertanto così come Linus morirebbe di paura se perdesse la sua coperta, Homer Simpson ucciderebbe chi gli rubasse la sua ciambella, “doh!”

Ed ora, a seguire, una piccola carrellata culturale per vedere alcuni dei modi con cui l’uomo ha dedicato il proprio tributo al cibo, segno di quanto quest’ultimo sia importante, al di là del suo valore nutrizionale. Di fatti, come potrebbe il cibo avere tutta questa importanza se non fosse altro che un po’ di proteine, una manciata di carboidrati e una spolveratina di grassi?

“A tavola perdonerei chiunque, anche i miei parenti” diceva Oscar Wilde, che in un solo colpo metteva ben in chiaro due cose: quanto dovesse essere noioso o pesante il suo parentado ma, soprattutto, la capacità del cibo di placare gli animi. Sempre lui, da quel grand’uomo che era, ebbe il buon senso di affermare di non riuscire “… a sopportare quelli che non prendono seriamente il cibo”, stavolta per indicare quanto il cibo fosse importante.

Ne “Il pranzo di Babette”, premio Oscar come miglior film straniero nel 1988 (consigliato a tutte le menti inesorabili quali le vostre hanno dimostrato d’essere), il Generale Lowenhielm racconta di essere stato “festeggiato dagli ufficiali della cavalleria francese con un pranzo in uno dei più raffinati ristoranti di Parigi, il “Cafè Anglaise”, il cui chef, una donna, era capace di trasformare un pranzo in una specie di avventura amorosa, nobile e romantica, in cui non si è più capaci di fare distinzione fra l’appetito del corpo e quello dell’anima”. Nello stesso film, proprio Babette afferma: “Potevo renderli felici quando davo tutto il meglio di me. Papin [altro personaggio secondario del film come il suddetto generale] lo sapeva. Lui disse che per tutto il mondo risuona un grido che esce dal cuore dell’artista:consentitemi di dare tutto il meglio di me!“

Nanni Moretti, nel film “Bianca” trova consolazione alle sue difficoltà relazionali in un barattolo di Nutella perfettamente identico al tradizionale se non per le dimensioni inusitate: almeno un metro e mezzo di altezza per un paio di metri di circonferenza.

Ludwig Feuerbach, (filosofo tedesco vissuto nel 1800) è celebre per avere sintetizzato nel famoso “L’uomo èciòche mangia” (in tedesco sarebbe “Mann ist was er isst”, divertente oltre che interessante essendo anche un gioco di parole) lo stretto legame tra il corpo e la mente e per quel che ci riguarda il valore del cibo al di là delle sue proprietà organolettiche.

Secondo Marino Niola, antropologo e accademico contemporaneo, “il cibo è il vero carburante della storia. Per due semplici ragioni. Una naturale e una culturale. La prima, ovvia, è che l’uomo mangia per vivere. La seconda, assai più decisiva, è che vive per mangiare. Se a noi umani fosse sufficiente nutrirci e basta, non ci distingueremmo da tutti gli altri animali e con ogni probabilità saremmo rimasti all’età della pietra”.

I matrimoni in tutte le culture sono associati a pranzi luculliani che in alcuni casi vengono protratti per tempi biblici. Ad essi i potenti affidavano il compito di impressionare per bene chi di dovere, attraverso sfarzo e solennità. L’importanza del pranzo nuziale ed il suo alto valore simbolico possiamo dedurlo anche dal fatto che è stato proprio nel corso di un matrimonio, le nozze di Cana, che Gesù ha dato inizio alla sua manifestazione.

Sempre per restare su temi sacri, se anche non tutti fossero memori delle nozze di Cana, tutti sicuramente ricorderanno che è stato per mezzo di una mela che Adamo ed Eva si incasinarono l’esistenza e, al di là che si tratti di una forma allegorica, è evidente il potere evocativo del cibo anche nelle culture del remoto passato.

Per finire in bellezza, permettetemi di citare gli antropofagi parricidi de “il più grande uomo scimmia del pleistocene”, a sua volta uno dei libri più divertenti dell’attuale olocene, che uccidendo e mangiando loro padre (il più grande uomo scimmia del pleistocene, appunto) sanciscono quali fondamentali istituzioni sociali il parricidio e la patrifagia, attraverso i quali viene perfezionata la trasmissione culturale da padre in figlio: brrrr, rabbrividiamo.

Ora, cosa ci dicono tutti questi “spezzoni” del film “Il cibo nella storia e nell’arte”? Ci avvertono che per quanto si cerchi di ricondurre tutto a mere calorie, il cibo non è solo quello!

Siamo in soprappeso, evidentemente, anche perché ogni volta che guardiamo il cibo, inconsciamente ci vediamo qualcosa di completamente diverso e perché in fondo in fondo “non di solo pane vive l’uomo” anche se Chi l’ha detto aveva in mente qualcosa di molto più elevato.

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