Il Manuale di sopravvivenza per dimagranti ® – Le nefandezze della food industry…

 “Faceva il palo nella banda dell’Ortica, faceva il palo perché l’era il so mesté.”

“Il palo della banda dell’Ortica” (Enzo Jannacci)

Ovvero dei bischeri che fan soldi sulla salute altrui

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Provate a pensare alla prima auto che avete guidato, al primo dispositivo per ascoltare musica passeggiando, al primo computer su cui avete versato lacrime e sangue per farlo funzionare, alla prima giacca a vento, al primo telefonino…

Adesso pensate all’auto che guidate adesso, all’attuale dispositivo per la musica, il computer su cui sputate lacrime e sangue per farlo funzionare, l’ultima giacca a vento acquistata, l’attuale telefonino…

Senza che ce ne accorgessimo, quanti miglioramenti hanno goduto col passare del tempo auto, walkman, computer, abiti tecnici e telefonini? Sarà sicuramente stato per motivi di lucro, ma è innegabile che i progressi in questi campi, così come in moltissimi altri, siano assolutamente incontrovertibili, ma soprattutto fonte di innumerevoli vantaggi. Immagino converrete con me che:

le attuali city car siano più spaziose, risparmiose, sicure, accessoriate, confortevoli delle berline medie di qualche decennio fa;

i dispositivi per ascoltare musica siano diventati dei veri e propri impianti stereo miniaturizzati, per altro con una capienza di brani musicali pressoché infinita;

i computer attuali consentano operazioni un tempo impossibili svolgibili per di più contemporaneamente;

se un tempo caldo significava pesante, ingombro stratosferico e sudorazione esponenziale, le attuali giacche a vento producono calore, leggerezza e traspirazione tutte insieme;

i telefonini siano un concentrato di strumenti un tempo incompatibili, quali telefono, macchina fotografica, lettore multimediale, lettore di libri elettronici ecc ecc.

Per produrre tutte queste meraviglie, per altro in continuo perfezionamento, sicuramente si saranno profusi capitali in abbondanza e altrettanto sicuramente non lo si sarà fatto per pura filantropia. Tuttavia sono evidenti i miglioramenti di cui possiamo godere.

La domanda non può che sorgere spontanea, visto il contesto in cui ci troviamo, ovvero una splendida aula conferenze con un magnifico relatore nonché esperto nutrizionista: per il cibo succede la stessa cosa?

Mi dispiace deludere le vostre speranze, ma direi proprio di no: per il cibo la strada seguita per avvantaggiarsi sulla concorrenza non è stata esattamente quella di far coincidere la desiderabilità dei prodotti con il loro effettivo miglioramento. A differenza di altri campi, infatti, piuttosto che in un ottica di servizi più avanzati o maggiore fruibilità, l’industria alimentare si è data da fare in termini di appetibilità e irrinunciabilità, come dire: non per un prodotto migliore, ma per un prodotto a cui fosse difficile o meglio ancora impossibile dire di no.

E questo è davvero il nocciolo della questione: mentre parte del mondo si interroga su come invertire l’attuale tendenza a tutte le forme di aumento di cui abbiamo parlato (di peso complessivo della popolazione, del numero delle persone in sovrappeso, dell’entità del sovrappeso pro capite, del numero di bambini a rischio di malattie per via dell’iperalimentazione) un’altra parte del mondo si ingegna per indurre la parte precedente a mangiare, mangiare, mangiare.

Il cibo come il fumo, quindi? L’industria alimentare come le multinazionali del tabacco? Suona un po’ estremizzato, ma visto che abbiamo fatto trenta, non ci resta che fare trentuno… seguitemi pertanto in questa seconda parte del capitoletto, invero un po’ dark e vi spiegherò come tutto ciò sia possibile.

Anzitutto dobbiamo partire da un presupposto: ai topolini piacciono le stesse cose che piacciono a noi! Adorano i Viaggi esotici, macchine potenti, case prestigiose… solo che non possono permettersele. Amano anche lo stesso cibo che amiamo noi, ma in questo caso con una differenza: questo possono permetterselo, almeno se hanno avuto la fortuna di finire nel laboratorio giusto, ovvero uno di quelli in cui certe aziende alimentari testano i cibi che poi finiranno sul mercato, il nostro.

Ci sono molti modi per chiedere il parere ai topolini, che non essendo dotati di parola e capacità di scrittura hanno limiti oggettivi dal punto di vista della comunicazione.

Per esempio li si può osservare alle prese con una porticina apribile a spinta dietro la quale viene posta la sostanza da testare: in base all’insistenza dei topolini per aprire la porticina, fraudolentemente bloccata dai ricercatori, si potrà desumere il grado di apprezzamento.

Allo stesso modo si può osservare quanto la bramosia per una certa miscela li renda impavidi ponendola al centro di una stanza: timidi e diffidenti di natura, solo una sostanza irresistibile potrebbe indurli ad abbandonare gli angoli…

Anche l’osservazione del livello di voracità può essere una misura dell’apprezzamento murino: di norma i topi mangiano solo per saziarsi, un po’ come tutti gli animali (tranne chi ovviamente? No non è il leone… siamo noi), per cui solo di fronte ad un cibo assolutamente seducente saranno disposti a rinunciare alla loro taglia “slim” per passare ad una decisamene più oversize.

Il modo più ingegnoso e riprovevole, tuttavia, è rappresentato dal percorso a T, in cui il grado di gradimento e di dipendenza inducibile nei topolini da parte di un alimento consiste nel proporlo un certo numero di volte prima di addizionarvi un leggero veleno in grado di causare fortissimo malessere ai malcapitati. Si sa che quanto è maggiore il tempo di esposizione dei topolini all’alimento prima dell’introduzione del veleno, tanto è maggiore il grado di dipendenza dei topolini nei confronti del cibo: chi lo mangia per pochi giorni è disposto a tornare alle crocchettine che mangiava prima dell’introduzione del cibo ultrafantastico praticamente subito dopo essersi reso conto che quel cibo non è poi così fantastico e meraviglioso come era sembrato in un primo tempo; chi lo mangia per tanto tempo è disposto a star male molte più volte nella vana speranza che possa tornare perfettamente commestibile. I ricercatori classificano il grado di gradimento e di dipendenza inducibile in base al numero minore di esposizioni al cibo necessarie per ottenere il maggior numero di vomitate, prima del ritorno spontaneo dei topini alle loro crocchette.

Tutto ciò per scoprire cosa? Che ci sono miscele di grassi, zuccheri e sale capaci di far sbiellare letteralmente i malcapitati, rendendoli praticamente succubi. A riprova il fatto che nella prova della porticina, per una data miscela si sia raggiunto il numero record (per una sostanza convenzionale) di 77 spinte: un pelo sotto il record assoluto stabilito dalla cocaina. Chissà a quale snack sarà stata applicata questa miscela irresistibile? E chissà anche in che modo sarà stata confezionata dal punto di vista alimentare della palatabilità perché, quel che conta, non è solo il sapore, ma anche la consistenza e il modo di un cibo di sciogliersi in bocca: cosa se ne fa il consumatore medio e un po’ ingenuotto, di un fantastico composto a base di noccioline, grassi, zuccheri e sale se poi al momento del primo morso ci si accorge di quanto poco sia piacevole il suo modo di pervadere la cavità orale? Non ci crederete, ma con la scoperta degli aromi aggiungibili a piacimento è possibile creare prodotti irresistibili realizzando da una parte il supporto più idoneo a far bella figura e dall’altra il sapore più invitante da aggiungervi.

Dopo questa carrellata inquietante vogliamo tornare alla domanda da cui siamo partiti: il cibo è come il fumo? L’industria alimentare è come le multinazionali del tabacco? Apriamo gli occhi ed ammetiamolo: non bastano le immagini rassicuranti delle confezioni dei cibi spazzatura per renderli socialmente più accettabili, né per cancellare la patina di irresponsabilità dalla fedina dei loro produttori.

Col mantello o il doppiopetto il conte Dracula tale resta: urge passare alla fase tre, quella del manuale vero e proprio.

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