“L’uselin de la comare è volato sulla testa, l’uselin faseva festa.
E un po’ più giù volea volare l’uselin de la comare”
“L’uselin de la comare” (Un sacco di persone, specie nel veneto)
Ovvero che quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a giocare.
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Data la fine che ha fatto il consiglio precedente (che era quello di guardarvi bene dal mettervi a dieta), per preservare il prestigio e l’autorevolezza rimaste, forse converrebbe glissare sul successivo suggerimento. Tuttavia, visto e considerato che buona parte della credibilità me la sono giocato a partire dal titolo, opterei per tentare il più classico degli “o la va o la spacca” e andare d’imbeccata ardita: fatevi un baffo del peso ideale, dimenticatevelo appena l’avrete carpito al dietologo di turno o l’avrete desunto da una delle tante tabelle che girano sulla rete.
Non ponetevi obbiettivi! Senza obbiettivi si vive meglio! Si ha meno pensieri e si evita ogni sorta di frustrazioni! Per esempio, all’inizio non si incapperà in aberrazioni come quella di credere che quest’ultima dieta sia davvero fantastica solo perché si vede l’obbiettivo avvicinarsi come se avesse le rotelle e col passare del tempo non si rischierà di esaurire la carica iniziale osservando come le ruote si sgonfino inevitabilmente dopo le prime settimane.
Piuttosto potrebbe avere molto ma molto più senso porsi obbiettivi a rate, belli morbidi, tipo un chiletto al mese. Una cosa tranquilla, insomma, che non impegni più di tanto e soprattutto non tolga il sorriso per via dell’eccessiva abnegazione e osservanza della dieta. Dare troppa importanza all’intenzione di perdere peso rischia di stravolgere la nostra vita ben più di quel che serva, al punto di finire con chiamare “sgarri” o “concessioni” le più legittime piacevolezze che non sono semplicemente ammesse: sono assolutamente doverose!
Un chilo al mese, anche meno, e vedrete che anche se ci mettete un annetto o due per raggiungere il peso finale, la vostra vita sarà allo stesso modo piacevole e per di più a quel punto non farete nessuna difficoltà a mantenere a tempo indeterminato il peso raggiunto.
Tra l’altro, facendo in questa maniera, verrà più spontaneo godersi i singoli successi allo stesso modo con cui ci si gode il panorama durante un viaggio. L’esperienza di perdere peso, infatti, può configurarsi variabilmente come una tirata pazzesca per raggiungere la meta del viaggio, oppure come un piacevolissimo tour, in cui le eventuali distrazioni non sono considerate perdite di tempo ma veri e propri piacevoli diversivi. De gustibus non disputandum est, convengo io, però stavolta converrete voi che gustarsi i chili persi senza l’assillo dei chili da perdere sia molto più appagante che attendere il raggiungimento dell’obbiettivo finale per sentirsi veramente appagati.
Non è come il maggiolino della Volkswagen, che durante la seconda guerra mondiale veniva venduto a rate, ma non secondo i canoni moderni per cui prima si prende la macchina e poi la si paga un tot al mese… troppo facile: nel sistema adottato dal governo nazista solo dopo il pagamento dell’ultima rata sarebbe stato possibile mettere finalmente le mani sull’agognata auto. E qui il condizionale è d’obbligo perché in realtà nessuno degli oltre ventimila tedeschi che versarono svariate milionate di marchi ebbero l’ebbrezza di posare le proprie teutoniche terga su altro che le proprie sgangherate seggiole domestiche, dato che nessuna delle vetture costruite dalla Volkswagen venne consegnata ad alcuno dei virtuosi risparmiatori. In questo senso, l’«operazione Maggiolino» dei nazisti non fu altro che l’ennesima malefatta, visto che chi anticipò tutti quei soldi non ebbe indietro nemmeno l’ombra di un Pfennig (indubbiamente poco più di una marachella, giusto una versione appena più in grande del dolcetto o scherzetto diH o del nostro pesce d’aprile, rispetto a quello che veniva fatto nel frattempo).
Chilo dopo chilo, taglia dopo taglia: ogni risultato ed ogni piccola conquista merita di essere festeggiata ed apprezzata; ogni! Forse che durante il fidanzamento si sia tutti mogi mogi per essere felici solo al momento del matrimonio? Ok, ammetto che spesso sia proprio l’opposto per cui si rendano necessari altri esempi: forse che durante tutto un corso di laurea ci si trattenga dal festeggiare i singoli esami passati per gioire in un colpo solo al momento della proclamazione della laurea? Forse che durante un evento sportivo si resti impassibili di fronte ad un goal, piuttosto che ad un canestro o ad una meta in attesa di sbroccolare al triplice fischio finale dell’arbitro? Forse che, e poi ho finito con gli esempi che se non mi sono ancora spiegato vuol dire che come scrittore e oratore valgo proprio una cicca frusta, durante un’esilarante commedia tratterremo ogni emozione, restando impassibili tutto il tempo, per prorompere in una sconquassante, quanto pericolosa, risata finale?
Abituati a considerare i risultati che otteniamo alla luce delle aspettative, non ci rendiamo conto che sarebbe meglio gustarceli per quello che sono senza passarli a tutti i costi attraverso il tritacarne delle nostre attese.
Fermo restando che a volte le aspettative che ci facciamo sono solo un gioioso frutto delle nostre fantasie (come, del resto, la mia di diventare qualcosa di più di uno scrittore di opuscoli), non c’è motivo per cui le due cose, risultati e aspettative, debbano venire a contatto. Possono, anzi devono, vivere in mondi assolutamente e volutamente paralleli, così che accanto al desiderio di diventare una Silfide o un Adone possa sussistere la soddisfazione per una perdita di peso anche di pochi etti.
Da ragazzi, parlo per i signori in lettura, chi non ha misurato con millimetrica precisione la distanza dalle labbra di un distratto bacio sulla guancia da parte della fiamma di turno per poterne dedurre il valore simbolico? Allora si era ragazzi, per cui era comprensibile che tutto fosse posto al vaglio dei desideri e ci si infiammasse o al contrario ci si legasse metaforicamente una pietra al collo in base all’interpretazione dell’evento. Ma ora, con tutta l’acqua che è passata sotto i ponti della nostra esistenza, non dovremmo esserci emancipati da questo, consentitemi l’iperbole, difetto?
Abbiamo perso mezzo chilo? Ma dedichiamoci una ola come se ne avessimo persi tre! È mezzo chilo in meno, mica in più. Ci abbiamo verosimilmente messo l’anima per perdere peso: perché amareggiarci solo perché ci aspettavamo di perderne di più? Bisogna gioire non tanto per l’avvicinamento ad un numero basso quanto per l’allontanamento da un numero alto.
Date retta a me, godetevi ogni singolo successo e non badate a dove vi siete posti l’ordine di arrivare, perché davvero spesso non è il raggiungimento della meta ciò che importa ma il modo in cui la si raggiunge e non dobbiamo dimenticarci che subito dopo l’arrivo dovremo mantenere i risultati raggiunti.
Tra l’altro i singoli successi sono il carburante più valido per la nostra marcia e non saperli cogliere solo perché abbiamo lo sguardo troppo rivolto all’obbiettivo finale ci priva di questo propellente importantissimo (però, che metafore ganze mi escono ogni tanto…).
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