Il Manuale di sopravvivenza per dimagranti ® – Fosse solo un fatto personale…

“Com’è difficile restare calmi e indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore.”

“Bandiera Bianca” (Franco Battiato)

Ovvero di tutto ciò che ci circonda e ci fa sentire a disagio per i nostri chili in più.

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Ci sono un sacco di motivi per voler perdere peso, tanto che potremmo dire che ogni persona che decida di dimagrire abbia il suo personale.

Ne elenchiamo un po’, giusto per vedere se ce ne fosse qualcuno capace di rispecchiarci, o, nell’eventualità, qualcuno al quale non abbiamo mai pensato, ma in grado di metterci un po’ di voglia di abbassare l’indice di massa grassa nazionale:

ho le ginocchia a pezzi;

ho le caviglie che scricchiolano;

se perdo peso adesso quando avrò qualche anno in più avrò meno problemi;

ho l’asma e già di base respiro male;

devo fare la protesi dell’anca;

ho smesso di fumare e sono ingrassata di venti chili;

io di trenta;

io ancora niente perché smetterò domani… conviene mettere le mani avanti, eh?

mi ha fregato il matrimonio, prima non ero così;

mi ha fregato la gravidanza, prima non ero così;

mi ha fregato l’allattamento, prima non ero così;

mi frega la nutella, prima non ero così;

mi ha fregato la natura, sono sempre stata così;

ho il colesterolo alto;

ho i trigliceridi alti;

sono troppo basso per il mio peso;

non voglio che il mio partner si strappi di nuovo facendomi fare il casquè;

quando vado in montagna sbuffo come una teiera;

la mia vicina si è rifatta il davanzale;

non mi va più bene nulla;

a mio marito non vado più bene io;

mia moglie dice che russo;

non  è vero che russo!

Ok, russo: in effetti mi sveglio da solo tanto che russo forte;

prima che io arrivi, gli altri han finito l’aperitivo e sono in bici sulla via del ritorno;

quando dico che taglia ho la commessa replica “ah, però!”

ogni volta che mi guardo allo specchio, ho voglia di buttarlo via;

ogni volta che mi guardo allo specchio, ho voglia di buttare via me;

ho l’autostima ai minimi storici;

ho la gotta;

ho le gambe storte che mi fan male;

mio padre era cardiopatico;

io sono cardiopatico;

mia moglie è cardiopatica e non riesce a tirarmi su dal letto;

ho l’osteoporosi;

ho l’artrosi;

ho la bronchite cronica;

ho il diabete;

ho la pressione alta;

ho la sfiga che mi ha preso di mira e ho tutte quelle elencate… ma proprio tutte!;

voglio godermi la pensione;

voglio godermi la vecchiaia;

voglio godermi la vita.

Ora, quale che sia il motivo che ha fatto scattare l’irrefrenabile desiderio di mettersi a dieta, va detto che tutti i benefici che conseguono al raggiungimento di un buon peso o quanto meno dall’allontanamento del peso iniziale, arrivino sicuramente per indotto. In altre parole, che io decida di perdere peso per potermi rimettere il completo del matrimonio, piuttosto che migliorare le performance sportive, avrò il vantaggio di avere qualche possibilità in più di non essere scartato al primo giro di mister villaggio turistico della prossima stagione.

C’è però un aspetto che andrebbe messo in bella evidenza: se pure tutti i motivi per perdere peso consentano di acquisire vantaggi e benefici su tutti i fronti, non tutti i presupposti comportano lo stesso grado di pressione e di sofferenza nell’approcciarsi al problema del sovrappeso. Cosa intendo dire: semplicemente che il carico emotivo che accompagna la scelta di mettersi a stecchetto sia diversa da caso a caso e che, soprattutto, questo carico emotivo sia particolarmente alto laddove i cattivi modelli sovrabbondino, laddove cioè vi sia una sovrabbondanza  di messaggi più o meno espliciti circa l’inadeguatezza dell’essere “grassi” in un mondo in cui trionfano i “magri”.

Credo che in tal senso non ci sia discussione: non esiste una trasmissione televisiva in cui non siano presenti signorine dalle forme impeccabili, generosamente esposte al pubblico apprezzamento, e in grado di generare ovvi imbarazzi in studentesse, casalinghe, operaie, impiegate e donne in carriera che non abbiano le stesse misure e proporzioni. Le ballerine di un tempo (o di una televisione meno banale), quelle magari un po’ meno vistose, ma in grado di cimentarsi in coreografie in cui la componente estetica era corollario della professionalità, sono state sostituite da bellezze statuarie il cui quoziente intellettivo e la cui preparazione professionale è un optional utile quanto un kway sul mar rosso: di una letterina, velina, parolina, meteorina e via dicendo interessa solo la bellezza e la fattura; il fatto che possa vantare un master in economia o sia in procinto di prendersi la seconda laurea, è ovviamente un di più di cui nessuno, in una TV tanto scaduta, sa cosa farsene.

Discorso analogo per i signori maschi, la cui pancetta, un tempo così confortante e rassicurante, deve assolutamente essere convertita nella tanto decantata tartaruga in uno sconsolante panorama di omologazione del bello: si può essere belli (e quindi appetibili) solo soddisfacendo determinati requisiti fisici, in cui comunque la magrezza è l’irrinunciabile base di partenza.

Non c’è dubbio: la pressione mediatica è talmente alta che anche quando qualche chiletto in più sarebbe accettabile, ci si convince che non si possa tollerare di essere meno magri di quanto viene pubblicamente suggerito. Tra l’altro, il fiorire di trasmissioni salutistiche e l’abbondare di prodotti miracolosi venduti a prezzi improponibili, non fanno altro che aggiungere legna al fuoco e così tutto concorre a rendere pesantissimi i chili in più, anche quelli più innocenti, figuriamoci quelli effettivamente di troppo. A voler per forza rovistare nel trash del passato (l’inventore di youtube dovrebbe essere fatto santo subito) si potrebbero trovare filmati molto istruttivi su come molti personaggi di dubbio spessore morale abbiano cavalcato, per fortuna non impunemente, le difficoltà altrui, ingenerando nelle menti più semplici persino il tarlo della colpa e della vergogna.

Il punto, pertanto, non è la motivazione inducente l’intenzione di perdere peso (sempre legittima e del resto anche i dietologi hanno figli da sfamare), quanto l’ansia che rischia di accompagnare tale scelta. C’è modo e modo di approcciarsi ad una strategia di dimagrimento, ma soprattutto c’è modo e modo di affrontare un percorso impegnativo quale quello di una dieta e con il rischio di viverlo talmente male da portare con sé, fin dall’inizio, il germe del fallimento dovuto al carico emotivo indotto da fattori esterni.

Troppe belle ragazze e troppi fustacchioni televisivi riescono a far vedere chili di troppo anche dove non ci sono, ma soprattutto riescono a far vivere male quanti e quante diversamente si approccerebbero al problema con maggiore serenità.

Ed il problema è pertanto questo: pesare un po’ (o tanto) più del dovuto, di norma non rappresenta una situazione che richieda una soluzione immediata o comunque di una certa urgenza. Non è una malattia delle coronarie o un tumore da prendere per tempo e da risolvere in tempi brevi; non è neppure una malattia che ci invalidi e ci impedisca di vivere: sono solo un po’ (o tanti) chili in più… nient’altro. È vero, eliminandoli vivremo meglio e miglioreremo la nostra salute, ma tutto ciò non avverrà con effetti speciali e spettacoli pirotecnici: si potrà realizzare anche gradualmente e con tutta la tranquillità e pace di questo mondo perché non c’è motivo perché debba essere diversamente. Purtroppo in molte circostanze questa tranquillità e pace non è presente a causa del disagio indotto dal divario tra il nostro aspetto e quello degli stereotipi proposti.

Un altro buon motivo per non sopportare più questa TV spazzatura e tutto l’establishment pubblicitario che induce ad accettare un standard di bellezza e forma fisica improponibile, con tutti i danni che questo sta producendo. Ma questo è un altro discorso. Il nostro discorso è molto più semplice: non dobbiamo caricare il nostro sovrappeso e la nostra decisione di perdere peso di un bagaglio emotivo eccessivo perché sarebbe assolutamente controproducente.

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